Richard Ford – Canada, un grande romanzo americano

_63435673_richard_ford_bbc    Il Grande Romanzo Americano ha padri nobili, geniali e beffardi divulgatori e qualche discepolo contemporaneo che ne rinverdisce la tradizione, nonostante la precarietà dei tempi e l’inevitabile obsolescenza del modello. Tra i primi va annoverato sicuramente Ralph Waldo Emerson, primigenio cantore degli spazi immacolati e dei santuari naturali del nuovo continente. Tra i secondi sicuramente il beffardo Mark Twain, i cui adolescenziali eroi dilettanti ben illustravano lo spirito avventuroso di una giovane nazione. O, sul versante più cupo e oscuro, va sicuramente ricordata la crepuscolare grandezza degli antieroi melvilliani,  che trovano oggi  una continuità ideale nei tetri protagonisti di tante storie di Cormac McCarty. Richard Ford, pur essendo assai diverso da quest’ultimo, al cui magnetismo violento contrappone una sensibilità molto più sottile e intimista, è sicuramente l’altro grande protagonista dell’odierna stagione della caccia al grande e incontaminato romanzo americano.

“Canada” (Feltrinelli, pag. 424, 19 euro) l’ultima sua fatica, ne è sicuramente una delle prove più convincenti, rivelandosi una geniale rivisitazione del classico romanzo di formazione che trova, nello spaesamento del vuoto pneumatico dei grandi spazi americani, la sintesi perfetta tra storia individuale e condizione esistenziale. Del romanzo classico americano Canada ha tutto: la vastità dei luoghi, in cui l’io si ridimensiona confrontandosi brutalmente con la propria insignificanza, il movimento perpetuo, per cui l’esistenza si trasforma inevitabilmente in un road movie permanente e apparentemente senza possibile linea di arrivo, la violenza, esplicita o subliminale, che rappresenta l’unica leva possibile per far saltare l’indifferenza con cui la terra guarda alle piccolezze umane, il prometeico gigantismo della volontà, che comunque si affanna a non accettare l’umana marginalità, ma anche il pacato senso di accettazione che porta a vivere ogni istante nella sua eterna bellezza, anche il più crudele e in apparenza distruttivo.

Il romanzo è la storia di un quindicenne, Dell Parsons, la cui vita, come un dado sul panno verde, viene bruscamente gettata in gioco da una serie di raggelanti disavventure che ne sconvolgono tutti i parametri e le certezze. Dell, che ha una gemella, Berner, è figlio di una coppia che peggio assortita non si potrebbe: il padre, Bev, diminutivo di Beverly, è il tipico bell’imbusto del Sud: nativo dell’Alabama, ha trascorso molta parte della sua esistenza in aviazione, partecipando alla seconda guerra mondiale come puntatore su un caccia bombardiere. Uomo sostanzialmente senza qualità, ama farsi amare da tutti e spesso vi riesce complice un sorriso accattivante e un contagioso vuoto mentale. La madre, Neeva, diminutivo di Geneva,  è invece figlia di ebrei polacchi immigrati in Usa in fuga dalla barbarie nazista, tipo chiuso e fortemente introverso, intellettuale frustrata si è fatta abbindolare dal bel Bev e ci ha fatto due figli in un colpo solo, per accorgersi troppo tardi che tra lei e il marito non esiste quasi nulla che davvero li unisca.  Insomma è la tipica coppia in crisi silente, dispersa nell’ immensa provincia americana dalle parti di Great Falls, Montana, alla fine degli anni Cinquanta e agli esordi del sogno kennedyano, quando le cittadine dell’infinito entroterra statunitense assomigliavano a quanto di più noioso e tragicamente grigio si potesse immaginare. Bev si rivela presto un vero balordo, tenta un traffico di carne rubata con alcuni sinistri indiani della vicina riserva, viene scoperto e pensionato forzatamente dall’ esercito. Tornato alla vita civile, mentre si arrangia con vari lavori di scarso successo, tenta di rifare la truffa della carne, questa volta complice un nero che lavora nelle carrozze ristorante delle ferrovie. Per farla breve, qualcosa va storto, Bev si ritrova minacciato dai sempre più sinistri indiani in caccia dei soldi loro dovuti : per uscire dai guai non escogita nulla di meglio che rapinare una piccola banca. Inutile dire che la rapina, organizzata con stupido dilettantismo, porta lui e la moglie, complice suo malgrado, a finire in galera, dove quest’ultima, psicologicamente stremata, si toglierà la vita.

Incipit peggiore, per il povero Dell, non si potrebbe proprio immaginare. Abbandonato anche dalla sorella gemella, gold-point-nv-is-a-ghost-town-with-only-7-remaining-residentsche si dà alla fuga diretta verso la solita immaginifica California, centro di tutte le utopie piccolo borghesi, Dell viene invece portato, da una amica della madre, oltre il confine canadese, in salvo presso il fratello di quest’ultima, che gestisce un piccolo albergo per cacciatori di oche e lavoratori del petrolio nella provincia dello Saskatchewan. Ford è sicuramente di un’abilità diabolica sia nel vestire i panni di un quindicenne, riproducendo con una scrittura secca ed estremamente efficace i dubbi, le paure e le speranze di questo ragazzo abbandonato alla deriva,  sia nel descrivere l’itinerario di un progressivo spaesamento che approda, infine, nei territori della gelida tundra canadese, tra cittadine fantasma, stormi immensi di oche selvatiche e un clima la cui asprezza ben si adatta a fornire uno sfondo gelidamente adeguato alla disperata ricerca di significato del giovane fuggiasco.  Il romanzo è, prima di tutto, un vistoso girovagare senza meta: dal padre di Dell, che si aggira nel vuoto incommensurabile delle pianure  del settentrione americano, cercando tra mille paesini anonimi tutti uguali, quello che contenga la banca ideale da rapinare senza problemi. Per finire al viaggio di Dell verso il Grande Nord, un perdersi progressivo in paesaggi sterminati, in cui la statica grandezza della natura, montagne gigantesche e lontane, cupe foreste di impenetrabile vastità, strade che viaggiano a perdita d’occhio verso un nulla apparente, fa da contraltare a un progressivo diradarsi di ogni segno di possibile civiltà.

Arrivato a Fort Royal, sua meta temporanea, Dell scopre come anche l’aggregarsi umano, in cotanta disperante vastità, assuma inevitabilmente caratteristiche singolari e preoccupanti. Affidato alle cure di un inquietante factotum, un meticcio che ama truccarsi vistosamente e vive in una roulotte dispersa ai margini di una città fantasma, Dell è attratto dalla figura del suo mentore locale, l’uomo a cui è stato consegnato dall’ amica della madre, individuo imperscrutabile e ambiguamente sfuggente, di cui scoprirà un passato sorprendente  che lo condurrà ad un finale tragico e violento. A differenza dei caratteri adolescenziali dickensiani, a cui il contesto umano e metropolitano della prima rivoluzione industriale fornisce lo sfondo  crudele della loro crescita, Dell, il protagonista di Canada, trova nella dimensione naturale, secondo la migliore tradizione americana, non solo lo sfondo della propria vicenda umana, ma proprio nel contrasto tra immensità e particolarità soggettiva, la molla che lo spingerà a crescere. Di fronte al vuoto delle praterie, al vento freddo che le percorre incessantemente, nel silenzio immane rotto solo dalle roche strida degli stormi di oche delle nevi, la tentazione è quella della depressione, dell’abbandono e della rinuncia, come sembrano fare i troppi relitti umani che approdano a quelle latitudini. Il riscatto è comunque possibile, come scoprirà Dell, ma a patto della scoperta di un autentico stoicismo interiore che sappia accettare tutto, senza piegarsi, ma assaporando la vita per ogni istante che produce, anche il più amaro.

Il Copperfield, prototipo vittoriano dei romanzi di formazione

Il Copperfield, prototipo vittoriano dei romanzi di formazione

Come un’altra grande scrittrice sudista, Flannery O’Connor, (e Ford è del Mississippi) nel contesto vuoto e allucinato delle immense praterie, autentico territorio del diavolo, l’unico riscatto possibile, capace di incidere nell’ apparente estraneità di una natura maestosa ma insensibile, sembra solo il gesto di violenza gratuita e crudele. Ma, mentre per la cattolica O’Connor la violenza, mossa di Satana per eccellenza, diventa occasione metafisica di riscatto, gesto estremo capace di suscitare la Grazia, per il più laico Ford non esistono reconditi significati magici. La violenza, pur nella sua logica distorta e insanabile, rappresenta il corollario inevitabile di questa immensa rocciosa natura, che è la vera sfida di questo continente così spazialmente vuoto e apparentemente senza fine possibile. E mentre la piccola America provinciale ha cercato di farsi coraggio popolando i suoi spazi di una disperata e anonima provincia, fatta di inutili e multiple cittadine seriali, in cui prosperano le famiglie di balordi alla Bev Parsons, il Canada resta ancora un confine inesplorato, dove l’umanità stessa è destinata a sfumare nella distesa a perdita d’occhio di una solitudine che lotta per non scivolare nella disperazione. Una violenza che sembra legge di natura senza alcun significato simbolico, parte di una lotta più generalizzata per la sopravvivenza, che può  annidarsi nel crudele divertimento dei cacciatori che salgono dal sud a fare strage di oche, come nel gesto insensato con cui Arthur Remlinger, l’antico radicale diventato mentore di Dell, tenta di cancellare le ultime tracce di un  passato di assassino  suo malgrado.

Ancora una volta il grande romanzo americano si chiude con una lezione di vita: all’immensità del continente, alla sua innata crudeltà,  Dell non può opporre che la sua debolezza di adolescente in fuga, ma la sua forza sarà non tanto la resistenza, ma la capacità di accettare senza piegarsi, di assaporare la vita nella sua pienezza senza escludere nulla, le poche dolcezze e le tante amarezze comprese.

a.pas.

 

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