Götz Aly – Perché i tedeschi e perché gli ebrei?

goetz-haydar-aly-100~_v-image512_-6a0b0d9618fb94fd9ee05a84a1099a13ec9d3321Perché i tedeschi e perché gli ebrei? La domanda, scontata se vogliamo, non è poi così banale come potrebbe sembrare. Perché un’intero popolo si sia trasformato in implacabile aguzzino, o almeno in complice silente e distratto, quasi senza battere ciglio? E perché una minoranza, in fondo numericamente marginale e in buona parte  emarginata,  sia stata eletta a predestinata vittima sacrificale del suddetto intero popolo? Götz Aly, giornalista tedesco e docente all’istituto Fritz Bauer di Francoforte, si pone l’interrogativo come titolo del suo ultimo saggio, pubblicato in Italia da Einaudi, giungendo a risposte per molti aspetti inaspettate, profondamente critiche nei confronti dell’atteggiamento con cui molti suoi connazionali sembrano aver affrontato il problema e l’imbarazzo che inevitabilmente ne consegue.

Per prima cosa Aly sgombra il campo dalla banalità della visione, da troppi condivisa, che tratta i nazisti  come una sorta di alieni emersi all’improvviso dal cuore più tenebroso e profondo della società tedesca, quasi un gruppo di marziani dai comportamenti criminali che, comunque, sarebbe sbagliato identificare con un intero popolo,  comprensibilmente propenso a considerarsi più vittima esso stesso che complice consenziente. Nulla di più falso: il nazionalsocialismo fu un movimento di massa che aveva radici profonde nella cultura tedesca ottocentesca, non fu un fungo velenoso comparso nottetempo, ma il frutto insidioso di un lungo e tormentato percorso storico e culturale, di cui Hitler rappresentò l’osannato culmine.

Eppure le premesse, tra ebrei e tedeschi, erano di ben altra natura: a inizio Ottocento, complice l’invasione napoleonica e il forzato rinnovamento imposto dalle baionette francesi alla galassia medievale degli staterelli germanici, il paese appariva, alla massa ebraica che premeva ai suoi confini orientali, una vera e propria terra promessa. Abituati da secoli alla cupa arretratezza dell’impero zarista, ai pogrom polacchi e ucraini, gli ebrei vedevano nella terra tedesca post napoleonica un vero paradiso, dove la liberalizzazione imposta alle professioni apriva definitivamente le porte dei ghetti e, pur senza imporre una piena integrazione, offriva comunque alla popolazione ebraica una via concreta all’emancipazione sociale.

Manifesto nazista antisemita

Manifesto nazista antisemita

Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, fu la parte più conservatrice e retriva della società imperiale tedesca che difese con maggior forza, anche a restaurazione avvenuta, la nuova condizione sociale raggiunta dalle comunità ebraiche. A fronte di un Bismark che si batteva per mantenere in vita le aperture concesse alla minoranza giudaica, che pur rimaneva esclusa dalle carriere militari e statali, furono proprio i rivoluzionari quarantottini i maggiori avversari di tali libertà. Perché il nascente nazionalismo tedesco, indebolito dalla frammentaria arretratezza dello stato germanico, più che al nascente liberalismo borghese, si ispirava al romaticismo deleterio che faceva appello ai valori discutibili del sangue e della patria. Fu così che il paese, da sempre quasi immune dalla piaga dell’antisemitismo, vuoi anche per l’eseguità della sua popolazione di religione giudaica se raffrontata a quella dei suoi vicini orientali, venne scoprendo a fine secolo il fascino perverso dell’antisemitismo come fonte ulteriore di unità di intenti per il sacro Volk germanico.

A partire dal 1870 inoltre la nuova Germania venne coinvolta in un vorticoso processo di crescita economica che, in certi periodo, eguagliò addirittura quello dei contemporanei Stati Uniti. Nel nuovo stato capitalistico che si andava costruendo crebbero, oltre ai fattori produttivi, l’inurbamento e le opportunità di crescita sociale. E fu allora che, per gli ebrei di Germania, si aprirono prospettive di ascesa sociale  imprevedibili. Favoriti da una cultura religiosa che privilegia lo studio critrico, restia alle gerarchie clericali e aperta alla discussione perenne, gli ebrei tedeschi dimostrarono da subito una profonda propensione ad accettare con disponibilità assoluta le sfide imposte dalla modernità.

Aly cita abbondantemente i dati che dimostrano come, generalmente, le famiglie ebraiche investissero assai più delle cristiane nello studio dei figli, favorendo una scolarizzazione che tra loro raggiunge spesso proporzionalmente anche il triplo dell’equivalente cristiano. Contemporaneamente gli ebrei accettarono con entusiasmo la vita nelle nuove metropoli, ammassandosi in città come Berlino che si apprestavano a diventare autentiche capitali della nuova Europa. Un processo che favorì inevitabilmente la loro crescita sociale e il successo nelle nuove professioni, fossero finanziarie, mediche, forensi o semplicemente intellettuali. A fronte di questa integrazione riuscita, sta invece, secondo Aly, l’arretratezza delle grandi masse contadine di tradizione cristiana, protestante e cattolica, che opposero al cambiamento una resistenza ostinata e spesso ottusa. La brutta favola dell’antisemitismo nasce così, da un pericoloso miscuglio di romanticismo del sangue e invidia per il successo sociale altrui. Inzialmente è più che altro un fenomeno culturale: agli ebrei si imputa il peccato di materialismo, li si accusa di essere i veri fautori e fruitori della prosperità capitalistica, gli adoratori del dio denaro,  a fronte degli antichi e puri germani pervasi dal culto del sacro suolo e del vincolo di sangue che ad esso li lega.

Picchetti nazisti davanti ai negozi ebraici

Picchetti nazisti davanti ai negozi ebraici

Una miscela pericolosa e pestifera, a cui si aggiungeranno presto le pretese pseudo scientifiche delle nuove teorie della razza che faranno degli ebrei un popolo “diverso” geneticamente, destinato a condividere i vizi e le bassezze di tutte quelle genti escluse dalla benedizione di essere “ariani”. Molto prima che la silhouette clownesca di Hitler comparisse all’orizzonte, è il fior fiore della cultura germanica che si batte a spada tratta per dimostrare la corruzione imposta dagli ebrei alla nazione tedesca, da un Wagner che si affanna a dimostrare come l’ebraismo perverta la musica, fino ai vescovi luterani che sfoderano i vecchi argomenti degli ebrei deicidi e sacrificatori di infanti, adoratori del vitello d’oro. E a fianco dei deliranti proclami sulle nuove leggi scoperte da uno pseudo darwinismo sociale di bassissima lega, che vorrebbe i migliori in lotta per la supremazia dell’eletta razza dei bianchi padroni, ecco comparire puntuale tutta la paccottiglia di elmi nibelungici e cornuti, algidi Sigfridi in cerca di presunti graal e prosperose bionde fanciulle bisognose di amorevole e razzialmente pura protezione.

A rendere esplosiva la miscela ci penserà, purtroppo, prima la grande guerra e poi, inevitabilmente, la terribile crisi del ’29.  Con la guerra mondiale sadismo e violenza diventano fatti accettati e quotidiani, con la crisi la lotta sociale si farà feroce e la ricerca di “colpevoli” efferata. E di colpevoli reali ce ne saranno parecchi, a partire dagli stessi tedeschi, incapaci di accettare la sconfitta e alla perenne ricerca di “traditori” da punire per improbabili pugnalate alle spalle, siano essi generali vigliacchi e venduti, o piuttosto giudei coalizzati nelle grandi banche e nei complotti più oscuri. Per finire alla coalizione stessa dei vincitori della guerra che, con la pace di Versailles, impose alla Germania condizioni disumane, che il solo John M. Keynes, per altro al tempo totalmente inascoltato, seppe denunciare come foriere di un’immane prossima tragedia. A fronte del crescere del disagio e della disperazione, passando per svalutazioni apocalittiche, rivoluzioni mancate e appelli ad una santa collettività del sangue comune, monta in Germania l’angoscia sociale e la ricerca di soluzioni miracolistice e di prometeici salvatori.

John Maynard Keynes fu uno dei pochi a denunciare i pericoli di Versailles

John Maynard Keynes fu uno dei pochi a denunciare i pericoli di Versailles

Nella caccia ai possibili capri espiatori, gli ebrei pur restando tutto sommato un’ esigua minoranza, offrono una soluzione perfetta. La loro vorticosa ascesa sociale, molto più rapida e riuscita dei contemporanei tedeschi cristiani, li offre come bersagli perfetti dell’odio e dell’invidia sociale. Le teorie “scientifiche” ne hanno fatto una razza a sè stante degna del massino disprezzo, il successo finanziario di alcune grandi famiglie ne fanno un obbiettivo condivisibile anche da chi professa idee socialiste e progressiste. Aly, a tal proposito, sottolinea come spesso tra gli stessi socialisti e comunisti un atteggiamento antisemita venisse visto con favore, come una sorta di precritica al capitalismo ancora parziale e superficiale, ma comunque un buon inizio teorico per quanti si apprestavano a battersi per l’edificazione di un mondo nuovo.

I socialisti, comunque, pur se tra mille contraddizioni, restano gli ultimi a tentare di tenere in vita la flebile democrazia di Weimar e, con essa, i diritti acquisiti da tutti, ebrei compresi. Per i comunisti, invece, spinti dalla cecità stalinista, il vero nemico non sono i nazionalsocialisti che avanzano e si apprestano a conquistare il potere, ma proprio i traditori revisionisti e riformisti della socialdemocrazia. In base a questo abominio ideologico, saranno proprio loro a contribuire in modo non marginale all’avvento di quel potere che provvederà poi a mettergli la corda al collo.

E’ in questo clima mefitico che il partito di Hitler, da piccola marginale organizzazione estremista si ritroverà, quasi senza colpo ferire, a diventare il primo partito tedesco, votato in massa anche da quegli stessi operai che la cecità di tanta politica di sinistra ha contribuito ad assuefare alle parole d’ordine di camicie nere e brune assortite, che si tratti di odio per lo sporco giudeo o amore per il sacro suolo patrio.

All’indomani della presa del potere da parte di Hitler, quando dopo la notte dei cristalli le vetrine di tanti negozi di ebrei occhieggiarono in frantumi nelle vie principali di Berlino e di molte città germaniche, furono davvero in pochi i tedeschi che se ne rammaricarono. Molti, moltissimi di più quelli che pensarono che giustizia era finalmente fatta e che era tempo di dividere tra il popolo, il mitico e bovino Volk, il bottino con le spoglie di quel subdolo nemico interno, che fossero appartamenti, negozi, opere d’arte o semplici risparmi. Così, collettivamente, si chiusero prudentemente gli occhi di fronte alle violenze che venivano perpretate con un feroce crescendo di giorno in giorno, non solo agli ebrei, ma anche ai semplici diversi, agli handicappati, agli oppositori, la cui flebile voce fu spenta in un battibaleno.

Anche le donne divennero feroci aguzzini nelle file naziste

Anche le donne divennero feroci aguzzini nelle file naziste

Dire che tutto questo fu opera di una minoranza di criminali politici, all’insaputa di un intero popolo, è semplicemente senza senso. Sta di fatto che l’ascesa al potere di Hitler, con le innominabili violenze che l’accompagnarono fin da subito, fu non solo approvata, ma sicuramente entusiasticamente condivisa da larghissima parte di un intero popolo, che un secolo di mistificazioni teoriche e brutalità verbali aveva accuratamente preparato. Ed è questo che continua a far paura: come in determinate condizioni di pericolo e crisi generalizzata un manipolo di delinquenti politici possa trasformarsi, nello spazio di un mattino, nell’avanguardia feroce di un popolo fanaticamente in caccia del proprio nemico di turno, sia esso l’ultimo immigrato approdato o semplicemente il vicino non troppo gradito. Tutto fa brodo, insomma, purché ci sia qualcuno a cui dare le colpe e a cui far pagare i propri errori traendone pure un certo sadico piacere e un interessato profitto, evitando comunque accuratamente di affrontare i veri problemi. Ed è per questo che lezioni come questa di Götz Aly vanno comunque sempre meditate e certe labili memorie continuamente rinfrescate.

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a.pas.

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